La migrazione come frattura, smarrimento, labirinto, desiderio di ritorno, nostalgia della terra, resoconto della storia.
Ma anche come narrazione, contaminazione del nuovo, immaginazione di ideali e ricerca della società perfetta.
Ipotesi: che gli oggetti intralcino le emozioni
Oggi dico: non di cose abbisogniamo.
Dammi l’occhio ribaltato che scruti.
Risuoni un dissonante delirio.
Lo sguardo guercio sganciato
la cecità che vede in campo lungo
un grandangolare sentire che corre
come un braille o l’oscuro senno di uccelli.
Rimaniamo intanto qui ai bordi stremati
aspettando un’intesa intangibile
con lo sguardo sbilanciato su varchi e fughe
e la retrospettiva vista di sogni futuri.
Non dimentico la terra vista da tempi lontani
molto indietro nel tempo
oppure molto avanti.
a
Mappe e talismani per la traversata
Società imperfetta, congrega del silenzio,
in quei pluristimati riti di regole
non fai che cumulare equivoci e
l’anestetizzante sfarzo dello spreco.
Mentre tutto è reso incerto utensile
la tua aurorale luce cui sorrido
apre varchi a indulgenze: come
chi sa far festa solo nel grido, rondine.
Tu che sei sognabile prima d’ogni pensiero
ignorasti il dubbio che ci inghiotte.
E quando l’ordine si sfa nella grande distanza,
perché tutto è malcerto guardando il globo
dal colmo del colle e dal suo architrave,
sulla fronte mi tocchi e mostri
l’impalpabile che ancora ci attraversa,
il pensiero che è ancora da pensare.
Ultima chiamata per l’esodo
Non governo la trave che regge il peso.
Aspetto che mi rechino — a me che sto nella gotica
accelerazione del benessere, a me ultima estratta
nella riffa sovrana del godere — il rotolo di vita.
a
Perché ci torturiamo?
a
L’essenziale per il volo
prescrive nudità per l’esodo. Forse i nudi, solo i nudi.
a
Spoglio separo e schivo l’ingordo
barocco raccolto nella famelica metropoli
di stracci, cerbottane, sedie. Icone da cui discordo.
a
Mi son detta – il suo più grande ritratto
è la pietà che alberga e nutre la mente.
Parlo di chi dona carezze l’un l’altro senza riscatto
a
a
La compassione dei corpi
E mi sono spesso domandato se in voi
– plutocrati – quei ricciuti crani indicassero
accrocchi di materia o qualcosa di più
che una sommatoria di tendini e vene,
più che la razzistica
tolleranza-zero
E so che non ho nessun diritto di piangere
o ridere di queste bocche e questi occhi,
anime anoressiche che occupano l’apnea,
la marea opportunistica di imbellettatori,
schiere di politici accorrenti con foglie di fico
nella palta retorica di convegni alla moda
protesi verso imminenti cambi climatici.
Stimo solo le mani date in sorte, le nocche
le rughe e tutto quel che serve.
a
Migranti
aaaaaa
Non altro che sparuti abitanti stavamo
nei pianori spartiti tra polvere e ghiaia,
accasati in transito su nulla più che un ramo.
aaaaa
Nel mondo toccato e toccante che ci fa vivi
della stessa felicità ch’è nei sassi, ciarlieri
ci raduniamo in forre e in circoli affettivi.
aaaaa
Contenti dei nostri costumi lisi e sinceri,
sostiamo sull’uscio sicuro di minime dimore
dove non altro che amici attendiamo, fieri
aaaaa
ma prendendo sul serio colui che muore.
E contenti della vita d’ogni altro essere
ascoltiamo a sera di Stati lontani il furore,
aaaa
l’eco da paesi vicini di cani, galli e il malessere
di dispute nascoste alla vista. E confondiamo
l’ambiguo fervore per lontano gratuito benessere.
aaaaa
Migranti: colonna sonora e lettura
Omaggio musicale di Domenico Clapasson con recitazione della poesia Migranti
aaaaa
aaaaa
Viaggiatori visti dall’alto
aaaaa
Per il mio occhio che vi vede vivere
nel transito vi profilate come figli
che caldi sempre venite ad esistenza.
aaaaaa
E vi imbocco e vi nutro
e mi imbarco con voi in dolce viaggio
tra bagagli, amuleti, stop e inversioni,
dove, in stroboscopica vista, bassi
m’apparite visti dall’alto e senza tempo
come un Cristo sperduto.
aaaaaa
Ognuno dall’alto è visto come lo vede il Padre
in attesa di chiamata da tabelloni supremi.
aaaa
aaaa
Alla ricerca della società perfetta
aaaaa
Io non credo che giustizia sia fatta.
Non vedo che la rivoluzione sia finita.
Non stimo la corrida dell’accumulo.
Temo violenza ingiustizia e rapina
e non credo alle belle parole.
a
aaa
Elogio della disubbidienza
a
Tu pattini nell’erba e spari col fucile:
io no.
Tu fai saltare in aria le carte come onde:
non io.
Tu consegui e sei dirompente:
io ricongiungente. Talvolta respingente.
Nella pelle d’uovo del tuo
universo di pensieri, esistiamo davvero?
Rispondo sì, esistiamo. Siamo la fioca luce blu
che pulsa al tuo quadrante, calda ombra vivente
che intravedi a infrarossi.
a
Torvo leguleio asociale, se metterai in fila
le rotonde vocali, io andrò per consonanti,
meglio se aspre e gutturali.
Tu smorzi e copri le cose con cenere bagnata:
io sbandiero all’aria il tizzone ardente.
Tu vai per fossati, barricate, regole,
mentre ogni canone si vorrebbe riempire
di stoppa secca, miccia imbevuta,
disobbediente matrice e mastice, nutrice.
a
E se non pesi quanto
il disobbedire dia sollievo e quante
morti abbia fatto l’ubbidienza,
vai a Kolyma a capire!
a
a
Roghi sulle sabbiere
A fango e luce annodati, galleggianti
come greggi in festa nel buon presepe
vaghiamo per slogan simboli e sabbie.
a
Sfrattati dall’occidentale finta festa
con un trolley che contiene d’Oriente
e d’Occidente il fetore di lotte, sfioriamo
tracce d’indolenza, orme di fiere, marchi
contrapposti, la morte che alza la cresta.
a
Discorsi fatti per alzare muri e frontiere.
a
Prospettive dell’occhio e altri miraggi
a
Non per armi migrando l’occhio
né per tenzoni, ma in splendore capire.
a
Lasciamo l’irrequieto nirvana del rancore
e le sue assai sospettose spire che non è spesa
osservare. Dal fondo dei vagoni
guardare da un occhio come posto
molto dentro l’alveo del caos.
Da un occhio collocato
nel retro del cielo.
a
a
Conversando sulla migrazione delle anime
a
Gemmava luce il camposanto.
Sempre intendevo ritrovare me stesso al di là
delle ferite che prima seccano e poi sanguinano,
sanguinano e poi seccano in un liquido pendolo.
intorno alle tombe stiamo
qui per dirci che – primo:
“l’anima seguita a esistere quando
pur l’uomo è morto” e – secondo:
“ch’ella conserva potere e intelletto”.
“Le date dei congiunti sono trama che
li spinge in scena e a un cenno li ritira
a riva di quella nuda ghiaia che li ravvede
e li decanta a un secondo destino”.
Tutto è a un tempo troppo inquieto e festoso
per svanire. Oltre le clausole proseguono eventi
che non ci riguardano.
Transiti, Varchi, Palpiti
Vorrei che finalmente si sapesse dove
va la scarmigliata anima
Ma galleggiano in terra traboccanti memorie,
quando avendo tanto tempo davanti
versiamo in progetti speranze ed errori.
Chi a Est chi a Ovest chi fiero chi mesto
tutti in attesa di salpare e mai salvati.
Finché, come di luce l’arco al lunapark coronato,
la porta dello stargate non rileva di loro più nulla.